Table Of ContentCARLO DEL GRANDE
HYBRIS
COLPA E CASTIGO NELL' ESPRESSIONE POETICA E LETTERARIA
DEGLI SCRITTORI DELLA GRECIA ANTICA
{DA OMERO A CLEANTE /
NAPOLI
RICCARDO RICCIARDI EDITORE
MCMXLVII
LYCIAE UXORI
PREMESSA
I Greci antichi col termine hybris designarono la «tra-
cotanza », la violenza smodata di chi, incapace di porre alla
sua azione un freno nascente dal rispetto dei diritti altrui,
dalla coscienza del giusto, dalia pietà; nei rapporti col suo
prossimo, freddamente o con ira, varca i limiti di quanto sia
retto, sfociando volutamente nell’ingiustizia. Questa tracotanza
prende a bersaglio un uomo o degli uomini; ma, al disopra
del fine malvagio, offende direttamente gli dei, custodi del-
Y ordine sociale e del mutuo diritto d’amore tra le creature
umane. Perciò contro l’hybris sta sempre Nemesi: imper.
sonale divina vendetta che coglie il malvagio, o ministra di
Zeus che punisce materialmente secondo gli ordini del dio.
Questa relazione tra hybris e nemesi, tra colpa e castigo,
vedremo che dai tempi omerici ai classici verrà assumendo
sempre pit un carattere di necessità, e vedremo che ad essa,
come a legge basilare di concezione, si conformano i più grandi
poeti e scrittori della Grecia antica. In altri termini, accanto
ad una paideia essenzialmente spartana, basata sulla con-
tinuità dell’areté eroica, troviamo un’altra e diversa paideia,
espressione di più larghi strati sociali che, senza negare quel.
l’areté, la corregge e la sottopone al principio del riconosci-
mento e della difesa d’un diritto eguale per tutti, che non è
possibile infrangere senza offendere gli dei.
L’hybris può essere di natura varia. Ogni insistenza in un
personale orgoglio che a soddisfazione d’ una potenza male in-
tesa ci renda poco solleciti del bene altrui, è hybris ; ogni
difesa d’una posizione ingiust—a o razziale o sociale o fami-
liare — è hybris. In essa vi sono gradi; ma della sua sostanza
di peccato, anche nel grado minore, non si discute.
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Come questa concezione religiosa, prima che civile, entra
nella letteratura e vi si afferma? Per naturale sviluppo di idee
in poeti e scrittori che, in ambienti lontani e distinti, incon-
sciamente s’adattano a quanto, col passare degli anni, nel suo
progresso l’ umanità via via elabora e formula? Per voluta
aderenza a portati teologici di collegi religiosi, di quelle cer-
chie di persone prudenti che remotamente lavorarono ad in-
civilire la già rude natura umana? Per una tradizione presto
rinsaldatasi, che oppose antichissimi principi mediterranei a
formule della civiltà acheo-dorica? A chi giudica spassionata-
mente appare che nella Grecia antica l’educazione della mag-
gioranza degli scrittori avvenne nella cerchia dei tempi, più
che nei ginnasi e nelle turbolenze dei fori.
Dinanzi a noi, come fonti, abbiamo miti poesie discorsi,
opere di storia e di filosofia: supperggiù quanto della lette-
ratura greca c’è giunto per il periodo preso in esame. Guar-
deremo a quegli scritti come a documenti per la nostra inda-
gine e tenteremo trovare il filo buono nel groviglio da dipanare.
Questioni marginali e letterarie verranno fuori numerose, per-
ché gl’influesi della concezione del rapporto tra hybris e ne-
mesi, sentiti fortemente da poeti storici e filosofi, agirono in
essi dall’intimo, a determinare forme di generi e modi essen-
ziali di narrazioni e di giudizi; si che il libro talvolta sfocerà
in una revisione di risultati critici su autori ed opere. Natu-
ralmente, per questi casi, ho provveduto ad inquadrare la que-
stione allo stato presente, e ad avviarla alla soluzione che m'è
sembrata, volta per volta, o sicura o possibile o probabile.
Ho dovuto tralasciare l’armamentario delle discussioni minute,
ch’ ogni persona cui importa potrà fare, senza sforzo, da sé.
Se non avessi fatto cosf, ogni paragrafo mi sarebbe diventato
una vasta memoria o un libro, e non avrei più scritto il vo-
lume che m’interessava.
Per quel che ne è il problema fondamentale, per i tempi
volgenti da Omero ad Eschilo — nelie manifestazioni letterarie
intese nel loro complesso — apparirà il procedere parallelo di
tradizione religiosa e civile; e poi, tra quinto e quarto secolo,
il loro progressivo distacco, agendo sulla prima lo spirito ra-
zionalista, il quale via via la svuota d'ogni sanzione superumana,
riducendola a costruzione fantastica priva d’ ogni base sicura
che possa pretendere ad una verità passibile di necessaria cre.
denza. Questo almeno nelle cerchie degli uomini di cultura,
PREMESSA — 3
rimanendo ancorato pid che mai il popolo alle fedi avite, e
il culto ufficiale, sotto gl’impulsi e gli aiuti dei governi, ten-
dendo ad un rigoglio di forme certo non minori di quelle di
cui aveva fruito nei tempi antecedenti. Tuttavia ogni ripresa
letteraria di concezioni colleganti bybris e nemesi si rivelerà
quasi sempre imposizione restauratrice movente dall’ esterno,
e non prodotto di comprensione dovuto ad una credenza in-
tima, attiva neli’animo dello scrittore.
Per l’economia del libro, avverto che consterà di due parti,
delle quali ciascuna ha una propria vita e un proprio corso.
La prima studierà linearmente la concezione del rapporto hybris-
nemesi dal suo sorgere (naturalmente non nella società ellenica,
ma nella testimonianza letteraria che ci è pervenuta), sino al
suo esaurirsi, per il superamento che la trova ingiustificata e la
condanna, e la sua azione attiva nelle forme stesse della let-
teratura del tempo; la seconda studierà la probabile genesi
suasiva di questa legge nel culto degli dei ctoni e nell’ apollineo,
la persistenza di essa negli strati maggiori della popolazione per
effetto di credenza istintiva e di scrupolo; e la rinnovazione
cristiana che le dà un nuovo senso esoterico, sino all’ estin-
guersi della tenace difesa dei longevi principi delfici, operata
via via con forze non indifferenti tra primo e quinto secolo
dopo Cristo, da Plutarco agli ultimi neopitagorici. Dalla stessa
sintesi apparirà chiara la differenza tra scrittori aderenti a fedi
religiose, immuni da dubbi, e quelli guidati dal solo lume
della ragione meditante, o nei quali verità di fede e di ra-
gione tendono a sommarsi, ovvero contrastano in perpetuo
conflitto.
Il libro vuol essere di filologia, ma di quella filologia che
intende e sa di essere storia. Muove dall’ esame di testi an-
tichi, ma studia quei testi nella loro attualità perenne e per
qualcosa ch’essi ci dicono vivacemente rispetto a leggi eterne
le quali nacquero con l’uomo e nell’uomo vivranno sin quando
sulla terra ci saranno aggregati umani. Non si sono voluti
istituire mai paralleli tra contingenze d’una volta e quelle da
noi vissute negli ultimi anni, anche per non uscire dai limiti
di filologia (sebbene l’ opera sia nata proprio da una rispon-
denza d’echi ellenici ali’ urto di reviviscenze presenti di pri-
mitiva barbarie); ma, soprattutto nei capitoli sugli storici e
sugli oratori, il lettore vedrà che spesso pagine antiche com-
mentano meravigliosamente vicende d’oggi, e stupirà che uo-
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mini i quali reggevano il timone di stati ricchi di esperienza
e di cultura, siano corsi allo sbaraglio cosi inscientemente,
senza ascoltare un monito palese e aperto, chiaro agli orecchi
di chiunque lo sapesse intendere. Nè vale obbiettare che gli
eventi talvolta sono tanto possenti, che ci è dato seguirli, non
arginarli. Il fatto è che la civiltà greca tra quinto e quarto
secolo fu cos{ grande, da fornire una parola definitiva di com-
mento quasi per tutte le seriori vicende umane. Ciò che Tu-
cidide disse della sua opera («la mia storia ad udirsi sem-
brerà poco piacevole, messo da parte il mito; ma sarà suf-
ficiente che la giudichino utile quanti vorranno perseguire la
chiarezza dei fatti avvenuti e di quelli futuri, che saranno
simili per Pimmutabilita della natura umana
—I 22, 11>) può estendersi alla maggioranza delle altre
scritture ; anche quelle che trattan di miti; ché il mito stesso
è suscettibile d’ interpretazioni diverse, di natura estetica o
logica.
Un’ultima avvertenza. Nel condurre l’analisi, per la prima
parte, ho segufto spesso il metodo di raggruppare gli scrittori
secondo i generi letterari. Ci ho pensato abbastanza prima
di fare cosi, e mi ci sono deciso per ragioni di chiarezza.
Un’ analisi condotta per panorama d’ epoche sarebbe risultata
confusa e manchevole. A parte quelle che sono le vedute no-
stre, non bisogna dimenticare che per i Greci dell’età clas-
sica— prima che venissero le distinzioni e le classificazioni
alessandrine — quei generi non erano pure categorie funzio.
nali, ma realtà attive nascenti dalle creazioni dei singoli au-
tori. E perché, nelle forme sorgenti dall’aderenza alla materia
da sviluppare, lirico si collegava a lirico, tragico a tragico e
cosî di seguito ; ne deriva che l’unica organizzazione coerente,
nel trattare delle forme letterarie classiche, rimane quella di
rispettare i cosiddetti generi. Cos{ sarà possibile additare con
maggiore limpidezza i successivi mutamenti e superamenti da
autore ad autore, sf che poi la sintesi estrema potrà disporre
sul piano cronologico-panoramico, senza temere oscurità, le
deduzioni parziali già avanzate per i singoli scrittori: ed è
quello che sarà fatto a suo luogo nella seconda parte.
In un libro di questa natura le citazioni sono continue.
Ho dato i passi sempre in traduzioni mie, studiandomi di
aderire al massimo ai testi greci: tutto ciò ai fini di chia-
rezza e d’una lettura agevole. Per la medesima ragione ho
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evitato gi’inciampi delle note, rimandando alla fine i richiami
bibliografici e riportando nel testo le indicazioni pertinenti
ai passi citati.
Ho seritto questo libro tra il turbinare degli eventi bellici
e la conseguente rilassatezza della loro conclusione, tra il
settembre del ’43 e il marzo di quest'anno. In qualche passo
la forma e l’espressione avranno risentito della turbolenza
delle contingenze che m’erano prossime; ma oso dire che la
trattazione è rimasta sempre oggettiva. Ho voluto esporre come
î Greci abbiamo sentito uno dei maggiori problemi eterni—
di natura contemporaneamente religiosa e morale, sociale e
politica — sino alla risoluzione cristiana. Spero di non essere
stato troppo da meno al compito che mi sono assunto.
Napoli 25 marzo 1946
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