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Prefazione
Anna Pia Ruoppo - Luca Scafoglio
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Con il Discorso sulla dignità dell,Uomo, Pico della Mirando
ru
la codilìcava nel ,500 manismo teorico, come quel pensiero
che identifica la dignità dell,uomo nella sua libertà. Trovandosi
dinnanzi alla scelta se "degenerare nelle cose infeli01i, che sono
i bruti,, o se "rigenerarsi, secondo il suo volere nelle cose su
periori che sono divine,,, Adamo, però, per quanto uomo dalla
"natura indeterminata", si trova all"intemo di una costellazione
predefinita che non può essere messa in discussione. I:uomo
rinascimentale ha il suo limite fuori di sé, nel mondo ordinato
che lo circonda, nello sguardo attento dell,"ottimo artefice,,.
I.:umanità dell,uomo è nella consapevolezza di questo limite
che lo protegge dal possibile accecamento della hybris e dalla
tentazione di auto investirsi di potenza divina.
Quando però questo orizzonte salta e l'uomo folle annuncia la
morte di Dio, il pericolo della deriva superomistica è in aggua
to, come viene ludicamente messo in luce nell"Hmnanismus
streit nell"immediato dopoguerra.
I.:esistenzialismo è un umanismo dirà Sartre nel 1945, in quan
to l"uomo si trascende, si autosupera, si auto crea, non ha bi-
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sogno cli sapere se dio esiste, perché deve inventarsi da solo:
l'uomo è ciò che si fa. Ma non si dispiega in queste afferma
zioni obietterà Heidegger un dominio metafisico incapace
di cogliere la complessità dell'essere-al-mondo? I..:uomo non
deve porsi piuttosto all'ascolto dell'incompiuto, dello sconfi
nato, invece di credere di essere la radice di tale sconfinatez
za ed incompiutezza? Ed è in grado di cogliere veramente il
propri-um dell'umano quel pensiero che prova a definirne la
natura dell'uomo partendo da una definizione già data dell' en
te nel suo complesso? Domande queste che, tuttavia, apriran
no la strada ad un altro sconfinamento, un altro superamento
del limite, ad un'altra deriva. Che ne resta dell'uomo se inve
ce di cogliere la sua complessità preservando la sua capacità
di comprendere e decidere, dobbiamo sprofondarci nelle pie
ghe dell'essere? Non diviene in questo modo l'uomo comple
tamente in balia della buona e della cattiva sorte, incapace di
governare il proprio destino? Piuttosto che rifiutare l'umani
smo tout court non può avere senso chiedersi ancora una volta,
a quale uomo orientarsi, provando a preseIVare la sua capacità
di orientare la propria vita? Non è necessario opporsi allo stra
potere della tecnica, non esiste invece un'alternativa alla devi
talizzazione del soggetto nel regime delle macchine? Queste
domande si pongono gli interventi qui raccolti, interrogandosi
sui possibili paradigmi dell'umano ...
a.p.r.
2
«Può accadere che non sappiamo cosa sia il bene assoluto o la
norma assoluta, cosa sia l'uomo o l'umano o l'umanità; sappia
mo però con molta precisione cosa è l'inumano». Così Adorno
nella lezione Probleme der Moralphilo~hie, tenuta nel seme
stre estivo del 1963, formula la riserva nei confronti di una
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nozione - l'"uomo" - rivelatasi sin troppo incline alla trasfìgu
razione di stati reali - l'individuo, il proprietario, il borghese,
il civilizzato e con ciò all'attivazione di dispositivi di esclusio
ne e dominio. Il nesso umano/inumano è colto quale campo
di relazioni oppositive, ma anche di complicità insospettabili.
Dopo che nella seconda metà del secolo scorso la critica, o de
costruzione, dello Humanismus ha restituito la crisi dell'au
tocomprensione delle società della Ricostruzione, di ordine
liberaldemocratico o realsocialista, il rito1no, nella costella
zione contemporanea, sullo stesso Umanesimo per un verso,
lo svolgimento del più ampio movimento del Post-human per
r r
altro, hanno posto esigenza di una ridefinizione dell'umano
in termini non essenzialistici, né dicotomici né antropologici.
Al tempo stesso, dal versante "decoloniale" è stato posto in
rilievo "il lato oscuro" della cultura classico-rinascimentale e
(proto)modema: la sua complicità con la conquista coloniale
quale insediamento del complesso eurocentrico dell' episte
me (Mignolo).
La domanda sull'umano - che è anche quella sull'inumano - si
leva essenzialmente da due aree: l'una è quella delle pratiche
tecnico-scientifiche di manipolazione dei processi naturali, sia
che si intenda con ciò l'impatto della società industriale, ma
forse già neolitica, sull"'ambiente" - e quindi in un certo sen
so sulla natura "esterna"-; sia che al centro dell'attenzione
siano le soglie inedite toccate dall'inteivento biotecnologico
sulla costituzione organica dell'uomo - e quindi sulla natura
"int ema", nei suoi punti di snodo, la nascita, la malattia e la
morte, o più ingenerale con riferimento all'intero orizzonte
delle "prestazioni". Prima che il discorso si raccolga attorno
alla determinazione di presunti "confini" ogni volta già violati
o di un "governo" dei processi in verità incline alla governance
neoliberale, è interrogato qui nuovamente il nesso dell'umano
e della natura, della loro demarcazione e sempre più profonda
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coappartenenza. r.: altra area cli problematizzazione si dischiude
Il dove i nessi storico-sociali fissano modi di assoggettamento
estremo, che dai margini, dalle periferie o dal "sottofondo,, del
la società globalizzata rilevano sempre più chiaramente al suo
centro: si tratti dell'eredità, o dell'attualità della occupazione
coloniale, di pratiche della razza e del governo autoritario dei
flussi migratori, dello sfruttamento del lavoro, o della geopo
litica imperiale e di guerra, nel modo del genocidio, della de
tenzione di massa o della miseria, le vite si fanno «precarie»,
sono esposte a forme diffuse di «cancellazione», appaiono «non
degne di lutto» (Butler).
Da entrambe le aree, istanze "premono,, dunque sulla com
prensione dell'umano così come è venuta sedimentandosi nel
la modernità, ripropongono la questione dell"'uomo" quale
campo epistemico e sua "matrice" - in tal senso «allotropo
empirico-trascendentale» (Foucault), soggetto/oggetto di co
noscenza e prassi -, nello snodo tra la considerazione descrit
tiva e quella prescrittiva. Ne è posto in discussione lo statuto
etico-politico, così come ontologico. Sono indicate, con ciò,
anche le tre sezioni nelle quali si articola il presente volume.
Agli autori dei testi che vi compaiono va il ringraziamento per
il contributo di riflessione offe 1to.
l.s.
Humanity. Tra paradigmi perduti e nuove traiettorie
è dedicato alla memoria di Francesco Saverio Festa.
Parte I
Umano,postumano,transumano
(Re )imparare a essere umani
Stefania Achella
1
Il vecchio continente si è confrontato con la questione dell'u
manismo1 da quando ha abbandonato l'idea di un universo go
vernato da un Dio e ha affidato alruomo le sorti del proprio
destino. Questo processo è andato avanti per secoli, per poi
arrestarsi bruscamente. Già nel corso dell'Ottocento un matu
ro Marx denunciava il termine "umanità" come un'astrazione
irreale che mascherava i conflitti tra classi antagoniste; la ver
ve superomistica e al tempo stesso antiumanista di Nietzsche
metteva in crisi un ideale di umanità costruita sulla coscienza e
la responsabilità e, al passaggio del secolo, la visione degli esseri
umani come razionali e autonomi veniva messa in discussione
definitivamente da Sigmund Freud, che poneva al centro della
"natura" umana desideri inconsci e iITazionalità. È però a parti
re dalla seconda metà del Novecento che il primato dell'uomo
e la fiducia nelle potenzialità di un pensiero antropocentrico
1. Utilizzeremo il termine umanesimo per indicare il periodo storico, men
tre in tutti gli altri casi ric.-orreremo al termine umanismo, la cui diffusione,
relativamente recente, si deve al libro del pedagogo e teologo tedesco Niet
hammer, La. disputa. tra filantropisnw e umanismo nella teoria dell"educa
zione del 1808. Su questo cfr. infra.
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vengono messe completamente sotto attacco e la discussione
intorno all'umanismo diventa uno dei temi principali. L'idea
che nel cuore dell'Europa si fosse potuto realizzare uno ster
minio di massa controllato e programmato aveva mandato in
frantumi il lungo sogno occidentale di un progresso indefini
to dell'umanità facendola improvvisamente sprofondare negli
inferi di un sanguinoso incubo. Sebbene il colonialismo avesse
già dato prova delle efferatezze di cui erano capaci gli Euro
pei, vivere la barbarie al di qua delle colonne d'Ercole, nella
patria indiscussa della civiltà e del progresso, aveva prodotto
uno shock culturale di dimensioni molto più ampie.
Già sul finire della guerra Adorno e Horkheimer avevano mo
strato, seivendosi della figura dell'astuto Odisseo e del suo alter
ego, il marchese de Sade, gli e1Tori e gli orrori di cui poteva es
sere capace una cultura costruita su una ragione arrogante. Ma
è qualche anno dopo che la polemica sull'umanismo comincia
a dominare la scena del dibattito filosofico, in un'intensa di
scussione tra marxisti, esistenzialisti, metafìsici e postmetafisici.
Nella nota intervista del 1966 a «Der Spiegel» Martin Heideg
ger, sottolineando il senso di sfiducia nelle azioni dell'essere
umano, afferma, con il tono profetico che lo caratterizza, «Or
mai solo un Dio ci può salvare»2 Con questa dichiarazione, il
•
2. M. Heidegger, Nur twch eln Gott kann tms retten, in «Der Spiegel», 31
maggio 1976. Benché resa circa dieci anni prima, il 23 settembre 1966, Hei
degger chiese che questa intetvista rimanesse inedita durante la sua vita. E
difatti è apparsa su «Der Spiegel» cinque giorni dopo la sua morte. Il testo è
molto lungo, ma ecco il passaggio in cui compare l'affermazione heidegge
riana: «SPIEGEL: Bene. Allora si pone naturalmente la questione: può ruo
mo singolo influenzare ancora questo intre<.-cio e questo concatenamento di
necessità, owero può la filosofia inHuenzarlo o possono influenzarlo entram
bi insieme, in quanto la filosofia induce il singolo, o più singoli, a una deter
minata azione? HEIDEGGER: [ ... ] Se posso rispondere brevemente, e forse
un po• grossolanamente, ma comunque in base a una lunga meditazione del
problema: la ftlosofia non potrà produrre nessuna immediata modificazione
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filosofo tedesco aggiungeva un ulteriore elemento a quello che
conosciamo come I'Humanismusstreit, la polemica sull'umani
smo che lo aveva visto protagonista insieme a Sartre. È poi la
volta cli Michel Foucault. Le parole e le cose, pubblicato nel
1966, viene accolto come il manifesto dell"'antiumanismo teo
rico". Con la sua critica all'umanismo, Foucault intende ope
rare un'analisi del soggetto nelle sue modalità di costituzione,
esaminandone le pratiche, le tecniche e i discorsi che lo hanno
istituito come tale.
Con la mise en cause dell'umanismo, ogni discussione sulla
natura umana, sul razionalismo occidentale e sulla tradizione
del pensiero europeo, viene attraversata dall'ombra del so
spetto. Un sospetto che comincia a scavare nel passato fino a
coinvolgere Platone e i suoi allievi. In una sorta di vertiginoso
crescendo, l'antiumanismo diventa dominante negli ambienti
intellettuali più critici. Sinonimo del dominio e della coloniz
zazione dell'impelialismo, in nome di un concetto astratto di
umanità, cost111ito sull'ideale deU>"uomo" occidentale, bianco
e maschio, esso aggiunge nuove forme di schiavitù e di assog
gettamento a quelle antiche. Nella seconda metà del Novecen
to non c'è filosofo che, nel criticare i regimi capitalisti, in cui a
prevalere è una logica di asservimento e sfruttamento dell'uo
mo sull'uomo, non si dichiari espressamente antiumanista.
Oggi, tale discussione che sembrava oramai consegnata alla
storia delle dispute, torna di attualità, questa volta sulla base
dello stato attuale del mondo. E questo non vale soltanto per la filosofia, ma
anche per tutto ciò che è mera intrapresa umana. Ormai solo un Dio ci può
salvare. Ci resta come unica possibilità quella di preparare (Vorbereiten) nel
pensare e nel poetare, una disponibilità (Bereitschaft) ali' apparizione del Dio,
o ali' assenza (ab-essenza) del Dio nel tramonto, rispetto al fatto che [ ... ], tra
montiamo al cospetto del Dio assente» (M. Heidegger, Onnai solo un Dio ci
può salvare. Interoi$ta con lo «Spiegel», tr. it. a cura di A. Marini, Guancia,
Parma 1987, pp. 148-149).
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di una sollecitazione che non arriva dai saperi umanistici ma
dalle scienze dure.
Il costante monitoraggio della condizione ambientale e delle
trasformazioni prodotte sul nostro Pianeta dall'azione dell'uo
mo ha infatti indotto nel 2019 un gruppo di geologi a decretare
il passaggio a una nuova epoca, battezzata come "Antropoce
ne''. Tale definizione ha rappresentato un'occasione per ritor
nare a mettere in questione l'umanismo antropocentrico.
Proprio come era awenuto con I'Humanismusstreit, anche in
questo caso si contrappongono due posizioni. Quella di chi con
tinua a credere nelle capacità dell'essere umano di risolvere i
problemi che lui stesso ha creato, ribadendone la posizione ec
cezionale rispetto alle altre specie, e quella dei ciitici radicali
che sostengono invece la necessità di un totale superamento
della visione antropo- e androcentrica, a favore dell'antispeci
smo e di una nuova ontologia relazionale.
È così ritornata d'attualità la domanda sull'umanismo: è il caso
di liquidare interamente il suo patrimonio secolare o c'è qualco
sa di quel Bildungsideal che può ancora essere salvato? Quegli
ideali umanistici che per secoli hanno supportato le battaglie per
la libertà di parola e di scrittura, per la difesa di interessi indivi
duali e collettivi, per l'affermazione del diritto di protestare e di
r
disobbedire, per abolizione del razzismo, per il riconoscimento
della pari dignità delle donne e dei diversi orientamenti sessua
li, possono dawero essere mandati definitivamente in soffitta3?
Il filosofo Julian Nida-Rilmelin è tra coloro che si sono schie
rati a favore di un recupero, seppur critico, dell'umanismo oc
cidentale4. Come Nida-Riimelin ha avuto modo di sottolineare
3. Cfr. T. Davies, Humanism, Routledge, London-NewYork 1997, pp.131-
132.
4. Al recupero della cultura umanistica Nida-Rilmelin ha dedicato nume
J.
rose riflessioni, si vedano le due recenti edizioni italiane: Nida-ROmelin,