Table Of ContentL’ARCHIVIO SIBILLA ALERAMO
Guida alla consultazione
a cura di Marina Zancan e Cristiana Pipitone
FONDAZIONE
ISTITUTO
RAMSCIonlus
Iedizione, maggio 2006
© 2006 by Fondazione Istituto Gramsci onlus, Roma
Grafica di Anna Bodini
La Guida è consultabile sul sito
www.fondazionegramsci.org
Finito di stampare nel maggio 2006
da Newprint, Roma
Riproduzione vietata ai sensi di legge
art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633
si ringrazia
FONDAZIONE CARIPLO
Indice
5 Introduzione
«Un cumulo polveroso che vorrebbe sfidare l’avvenire»
di Marina Zancan
13 Nota biografica
L’Archivio Sibilla Aleramo
L’Archivio e la Fondazione Istituto Gramsci 21
Criteri di ordinamento 27
Descrizione delle serie 29
39 La biblioteca di Sibilla Aleramo
Elenco dei corrispondenti
Persone 99
Enti 124
Periodici 128
Introduzione
«Un cumulo polveroso che vorrebbe sfidare l’avvenire»
Nella nota di diario del 21 settembre 1943, Sibilla Aleramo così definisce le
proprie carte «inedite e edite, lettere, giornali»1, continuamente rivisitate, ordinate,
commentate, dalle pagine della prima fanciullezza fino a quelle degli anni ultimi,
«migliaia e migliaia di foglietti», una «somma enorme di
vita». «Ho sentito – commenta il 18 marzo 1945 – che,
dopo la mia morte quest’eredità di parole assumerà un valo-
re profondo, se troverà chi avrà devozione e forza sufficiente
a ordinarla e pubblicarla»2.
Questa introduzione della Guida alla consultazionedelle carte,
ora ordinate, dell’Archivio Sibilla Aleramo non può prescindere
dalla trama discorsiva che Aleramo stessa intesse sul proprio archi-
vio nella stesura dell’opera ultima, da lei destinata a una edizione
postuma: i Diari, avviati alla fine del 1940 e chiusi (nella scelta
edita) con la nota del 2 gennaio 1960, di poco antecedente alla sua
morte.
Modulati sulla tipologia di una scrittura del privato, ma soste-
nuti dalla pretesa tutta letteraria di comporre il libro– in grado di
fissare il ricordo di una vita («ho fatto della mia vita il capolavoro che avevo
sognato di creare con la poesia», 2 aprile 1941, p. 68) – i Diari interessano le
carte in quanto esse ne sono motivo e insieme materia. Scritti a fronte della crisi
della parola poetica, «misteriosa inazione» degli ultimi anni contrapposta, nella
nota di apertura, alla nascita, con Una donna, alla scrittura («Oggi sono trenta-
quattro anni che il mio primo libro venne pubblicato», recita l’incipit di Un amore
1 Sibilla Aleramo, Un amore insolito. Diario 1940-44, scelta e cura di Alba Morino, Milano,
Feltrinelli 1979, p. 283. Tutte le citazioni sono nel testo con l’indicazione di data e pagina.
2Ead., Diario di una donna. Inediti 1945-1960, scelta e cura di Alba Morino, Milano, Feltrinelli
1978, p. 33. Tutte le citazioni sono nel testo con l’indicazione di data e pagina.
5
insolito, 3 novembre 1940, p. 3), i Diari ricompongono, tra scrittura e riscrittura, l’e-
sperienza del presente a quella del passato. Conservando annotati, accanto agli squar-
ci memoriali evocati dalla rilettura delle carte, gli interventi dell’autrice sulle stesse
(ordinamento, selezione, contestualizzazione) che, nel presente, ne consentono la
riproposta editoriale e, proiettati nel futuro, ne predispongono conservazione e valo-
rizzazione, i Diariraccontano dunque la storia delle carte: quella esterna, che docu-
menta le vicende editoriali e la fortuna critica dell’edito nel quadro di una fitta rete
di relazioni intellettuali; e quella interna: genesi, poetica, attese e prospettive ricon-
dotte, in un quadro complesso di esperienze e relazioni, al farsi della coscienza
inquieta e alla identità di una donna: «Un libro – scriveva Aleramo già nel suo primo
romanzo – che mostrasse al mondo intero l’anima femminile moderna»3.
Nei vent’anni in cui le carte sono materia e fonte per la nuova scrittura, il pen-
siero del loro destino – rinnovato a ogni riordino («Sfogliati altri pacchi [...]. Ma chi
avrà la forza di sfogliare questa massa spaventosa di carte?», 22 marzo 1954, p. 341)
– intreccia alla designazione dell’erede e degli esecutori testamentari, l’attesa di una
“vera” lettura: «Saran più avveduti dopo la mia morte – si chiede l’8 gennaio 1955 –
come ancora a tratti mi illudo malgrado tutto, malgrado tutto?». Lo conferma nella
Nota biografica di questa Guida la descrizione dei testamenti, ora inventariati tra le
Carte personali, mentre il valore simbolico di questo intreccio traspare dalla lettura
delle note diaristiche: in esse, come del resto in Una donna, o nelle lettere (tra gli epi-
stolari editi, denso di suggestioni in questo senso è quello che raccoglie le Lettere tra
Campana e Aleramo), la scrittura dà forma all’immaginario d’amore, è «trascrizione
del pensiero parlato di una donna – scrive Lea Melandri – “flusso” [...] di tutte le
parole (pensieri) che essa ha dovuto trattenere per paura di non essere “intesa”, che
scrive per sé e perché altri, leggendole, possa farsi di lei un’immagine intera»4. In que-
sto immaginario, il desiderio di essere intesa si affida all’oggetto d’amore, destinata-
rio primo della scrittura e insieme tramite, garante, nella continuità della lettura, di
una vitalità, duratura nel tempo, della propria immagine e dei propri pensieri: figu-
ra d’amore fino a Franco Matacotta, «ultimo enorme errore» (28 dicembre 1959, p.
476), il giovane poeta che, con un pressante richiamo al «lavoro» (la parola poetica),
presiede all’avvio della scrittura diaristica, destinatario, lettore e critico della stessa
(«“Enorme delusione” ha detto Franco dopo aver risfogliato intero questo Diario»,
3Ead., Una donna (1907), Milano, Feltrinelli 1994, pp. 123-24.
4Lea Melandri, Lettura, in Sibilla Aleramo, Un amore insolito, cit., p. 460.
6 INTRODUZIONE
annota Aleramo l’8 agosto 1944, p. 413), coautore nelle scelte per le prime edizioni
dei diari («Mercurio», III, 1944; Tuminelli, 1945). Un sodalizio intellettuale e senti-
mentale al cui interno, pur nella crisi della relazione privata, Aleramo dispone l’atte-
sa di una continuità oltre la morte.
Il 19 marzo 1945, finiti gli anni de «le nostre carte» (5 ottobre 1943, p. 84), ritro-
vata, nel silenzio della soffitta la solitudine «e quella mestissima cosa ch’è la libertà»
(21 gennaio 1945, p. 27), Aleramo scrive ancora, per l’ultima volta, rivolta a Franco:
«io lo prego qui, stasera, che s’egli non dovesse sentirsi in grado di compiere la mis-
sione che gli ho affidata, [...] lo prego di far sì che non si disperda assieme alle mie
ceneri la sostanza spirituale adunata in tutte quelle pagine» (p. 33).
«Chiedo l’iscrizione al partito» recita l’incipitdella lettera, scritta il 3 e trascritta
il 10 gennaio 1946, con cui Aleramo aderisce al Partito comunista, «estrema affer-
mazione di fede» (p. 75), «presente verità» (22 marzo 1954, p. 341). Mutano, con
questo, le parti di un immaginario che, sia pur declinato in tono minore («d’amore e
di gioia il mondo è privo come non mai», 8 aprile 1945, p. 37), tuttavia preserva la
valenza del sogno originario: «Dopo essermi tutta la vita illusa nella creazione d’a-
more per singoli individui – annota il 17 febbraio 1948, p. 183 – ecco, la mia fede
comunista è la sola cosa concreta, e le strette di mano dei compagni operai, il supre-
mo conforto».
In questo mutamento, il pensiero connesso alla sorte delle carte separa la preoc-
cupazione della destinazione delle stesse dall’attesa della loro lettura: le carte (prima
in parte, poi tutte) al Partito, perché le conservi, le ordini, ne curi, come lei stessa
aveva fatto, vecchie e nuove edizioni. La loro lettura, attesa che
si proietta con ansia nel dopo («Dopo nessuno,
nessuno avrà la capacità e la voglia di vagliare, e spes-
so interpretare, tanti documenti», 22 marzo 1954, p. 341),
caduta l’illusione ultima nella «creazione d’amore» con l’altro, si
ripropone invece pressante negli anni. «Io non ho saputo allevar-
mi vicino, in questi ultimi anni di vita – scrive nella nota sopra
citata – un Eckermann, come fece Goethe. Uno che devotamente
preparasse la mia biografia, attraverso a tanti documenti,
per dopo». L’attesa è dunque quella di una lettura inte-
grale, connessa alle carte e insieme «devota», in relazio-
ne dunque con la soggettività che le ha scritte, in grado
di vedere in esse la sua immagine intera e di rigenerarla
7
in una nuova scrittura, la biografia. Nessuno, dopo, saprà scrivere la sua biografia,
annota Aleramo in quel diario, il «più carico di vita» dei suoi libri (8 gennaio 1955,
p. 354) che, contrattualmente destinato a una edizione postuma, sembra dunque
configurarsi come biografia d’autore, autobiografia.
L’ascrizione di un’opera a un genere letterario è sempre operazione complessa, più
problematica se l’approccio al testo include l’identità sessuata del soggetto di scrittu-
ra. Nel caso di Aleramo, tutta la sua produzione – e segnatamente la narrativa – ha
un carattere fortemente “autobiografico” che, dopo Una donnae Il passaggio, si accen-
tua per l’esplicito utilizzo di scritture private (le lettere, in particolare, come ne Il fru-
stinoe in Amo dunque sono) nella costruzione dell’intreccio e della struttura roman-
zesca. Una scrittura, dunque, tutta autobiografica che, negli ultimi vent’anni, a fron-
te della crisi della parola poetica, si frantuma nell’annotazione diaristica? Direi di no:
piuttosto una lunga esperienza di scrittura, esercizio letterario – ragionato nella pro-
duzione saggistica, nei testi di conferenze e interventi o nelle note affidate a fogli
sparsi – che, ancorato all’esperienza di vita, documentandola la trasfigura. «Poesia
incarnata, fatta vita, forza vitale», scrive di sé Aleramo, rivolta a Franco, il 5 dicem-
bre 1940: «Tutto ciò ch’io non ho se non in minima parte scritto, forse appunto per-
ché sono andata via via creando me stessa liricamente» (p. 19). Tutto ciò che, nella
reiterazione dell’illusione d’amore, non è stato visto e che, nella lettura delle carte,
non è mai stato colto.
A fronte della crisi dell’ultima esperienza d’amore e insieme della parola poetica,
Aleramo avvia la scrittura diaristica che riconnette, nell’intreccio di tipologie differenti,
il passato al presente, il pubblico al privato, le parole al pensiero, il pensiero all’esperien-
za: una scrittura di sé e per sé, che predisposta per la lettura (di Franco, destinatario d’e-
lezione, nei primi anni, di quello che in parte è un discorso d’amore; dei lettori dell’
«avvenire», dopo il 1945, predominanti nel suo immaginario), ricompone l’interezza,
complessa e contraddittoria della propria immagine, una figura per sempre.
Un’autobiografia, dunque? Aleramo se lo chiede il 7 luglio 1941, nella fase iniziale
della nuova scrittura, rilette le parti a quella data scritte sotto «la suggestione» di due let-
tere (di Matacotta e di Mucchi) che «entrambe parlano di “autobiografia”». «Ma Franco
– scrive – che conosce questo mio attuale diario, che cosa pensa veramente? Ch’io lo con-
tinui, e da esso “risalga al passato”, o lo tronchi e inizi da domani una narrazione nuova,
[...] con un tono più unito, più fermo? E tutte queste pagine allora?» (p. 80).
A quest’altezza cronologica, dunque, Aleramo ha ben chiaro che le note del suo
diario (frammentarie, discontinue) non sono, né intendono essere “autobiografia”;
8 INTRODUZIONE
sono, scrive di seguito, «documento di questi mesi, un
documento di più da aggiungere ai tanti che riempiono
l’armadio e che Franco sarà molto imbarazzato un giorno
a pubblicare». Nella nota già citata del 1954 – quando
Matacotta non è più, nel suo immaginario, lettore d’ele-
zione o destinatario delle sue carte – Aleramo, mentre
lamenta l’assenza di un «devoto» biografo, commenta: «E
intanto i documenti invecchiano ogni giorno di più, io stessa
rimango dinanzi a molti di essi come dinanzi a insolubili indovi-
nelli». Distanziati dall’esperienza, essi perdono senso. Lei stessa
dunque provvede a «vagliare», a «interpretare» «per dopo», le proprie
carte: ne racconta la storia, le dispone nel «flusso» di parole e pensieri non
detti, e ora trascritti, ne suggerisce l’uso, e la lettura.
Considerate in questa chiave, le note diaristiche si configurano allora come
memoria di un Archivio totale (carte conservate, perdute, scartate, vendute, donate)
con Biblioteca d’autore(libri acquistati, letti, annotati, perduti, venduti, donati), ordi-
nato, in parte riletto, dallo stesso soggetto produttore. E insieme rilettura dell’opera
intera (edita e inedita) comprensiva della storia dei testi (edizioni, riedizioni, varian-
ti), della loro fortuna, del vaglio interpretativo dello stesso soggetto di scrittura. L’una
e l’altra frammentate dalla discontinuità dell’evocazione memoriale e del tessuto nar-
rativo in cui si dispongono come parte e insieme fonte.
Facciamo qualche esempio. Nel quadro di una revisione continua e sistematica
delle carte conservate («È un lavoroquesto scavonella corrispondenza – annota il 28
febbraio 1948 – forse è una preparazione silenziosa», p. 185), accanto alla memoria
di quelle perdute («Ripenso alla prima notte del secolo [...] e alle pagine che scrissi,
e che non ho mai più ritrovate», 31 dicembre 1940, p. 27), si dispongono le notizie
dei manoscritti venduti: Una donna («mi telefona Maria Bandinelli che ha un asse-
gno di cinquanta mila lire, lasciatole per me dal compagno Bruno Sanguinetti [...] in
cambio d’un mio manoscritto ch’egli offrirà alla Biblioteca Nazionale di Firenze», 15
marzo 1949, pp. 231-32); i diari, prima offerti a Giulio Einaudi («non sapeva come
dirmi che la sua casa editrice non è in grado di anticipare un capitale – mettiamo due
milioni – per un libro (il mio Diario) da stamparsi dopo la morte dell’autore», 5
luglio 1950, p. 270), poi ceduti a Feltrinelli: «La valigia con il manoscritto del diario
non è più qui – scrive l’8 novembre 1955 – l’ho consegnata poco fa al fattorino della
sede romana dell’editore Feltrinelli. [...] Ho provato un po’ d’emozioni in questo dis-
9
tacco, curioso» (pp. 400-01).
Rarissimo è lo scarto, mentre ripetuto è il
dono: il manoscritto di Amo dunque sono, scrive
il 4 gennaio 1955, «lo donai al protagonista,
dopo che il libro fu pubblicato. Egli m’ha detto,
l’altra sera, che lo conserva» (p. 353). La informa-
zione circostanziata della storia e della dislocazione
del manoscritto (donato nel 1927 a Parise e da lui
conservato all’altezza del 1955) chiude la nota in cui
Aleramo, riletta l’opera, la valuta («Il libro è rimasto
giovane») e ne ricostruisce la vicenda editoriale. Scritto di
getto nel ’26, pubblicato nel ’27, nell’ultima ristampa, del
1947, il romanzo presenta una variante rispetto alle edizioni prece-
denti: lo stralcio, suggerito da Matacotta («Anche Franco legge Amo dunque sono –
aveva scritto il 28 agosto 1946, mentre attendeva alla revisione del testo – tira gran-
di sbarre sui brani che trova “indegni” o troppo “ridicoli”», p. 119) del capitolo dedi-
cato alla «smarrimento fisico» con il personaggio Bruno Tellegra. Consiglio «pudi-
bondo», commenta Aleramo: «Se oggi il libro si ristampasse, lo vorrei integrale».
Alla “integralità” di un testo, che per Aleramo coincide con la prima edizione –
«portate alla posta le bozze correte di Una donna – scrive il 9 novembre 1950 – cor-
rezione, s’intende, dei soli refusi. Non era il caso di mutare neanche una parola in un
testo che ha la bellezza di quarantasei anni» (p. 275) – si accosta, nell’immaginario
che presiede alla scrittura diaristica, l’interezza del proprio pensiero trascritto. Lo sug-
gerisce la frequenza, in esso, delle carte trascritte: lettere (del passato e del presente),
articoli, interventi, annotazioni. Tra queste, le lettere e le annotazioni antecedenti ai
Diari, e dunque coeve alla fase “creativa” della scrittrice, si intrecciano alla storia dei
testi contestualizzando nel tessuto narrativo delle scritture d’esperienza, genesi ed esiti
della scrittura letteraria. Per Amo dunque sono svolgono questa funzione le pagine
incluse in data 5 aprile 1955 (pp. 362-95), estrapolate dall’«incartamento» relativo
all’amore con Parise; per Unadonna, il fascicoletto “Cena”datato “Capri, novembre
1939”, inserito il 9 gennaio 1944 (pp. 320-39). Se le prime danno lo sfondo, in
forma di cronaca, del narrato, il fascicolo “Cena” ripercorre invece la genesi dell’ope-
ra prima, segnalando in essa le varianti indotte, anche in questo caso, dall’attitudine
censoria dell’uomo amato. «Cena – scrive Aleramo – [...] m’aveva fatto opportune
osservazioni, indicandomi ov’era necessario abbreviare e sviluppare, e insistito perché
10 INTRODUZIONE
Description:romanzo – che mostrasse al mondo intero l'anima femminile moderna»3. Luchaire; di ritorno in Italia soggiorna a Gardone nel vano tentativo di farsi ricevere da Gabriele D'Annunzio Sibilla si trasferisce di nuovo lasciando l'appartamento introduction par Aldous Huxley ; traduction de Thérèse.