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Europa a due velocità
Postpolitica dell’Unione europea
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Isbn: 978 88 6830 6045
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Per Stefano Rodotà
(in memoriam)
Introduzione
Nel 1999 venne lanciato un concorso tra gli studenti degli allo-
ra quindici Paesi membri dell’Unione, chiamati a confeziona-
re un motto per l’Europa. Risposero in ottantamila per aggiu-
dicarsi il premio messo in palio: «Scrivere una pagina di storia
europea». Una giuria internazionale, con Susanna Agnelli in
rappresentanza dell’Italia, scelse il motto più efficace tra i
duemila presentati: «Unita nella diversità». Il motto sottoli-
neava al meglio che i Paesi membri dell’Unione ben potevano
conservare le loro peculiarità, e dunque le loro culture e tra-
dizioni, e nel contempo essere parti di una comunità fondata
su principi e regole condivise. È con questo significato che lo
si volle menzionare nel Trattato sulla Costituzione europea,
poi affossato dai referendum francese e olandese, assieme agli
altri simboli dell’Unione: la bandiera con il cerchio di stelle
dorate su sfondo blu, l’Inno alla gioia di Beethoven, la moneta
comune, e l’8 maggio come giornata celebrativa (art. I-8).
Già il Trattato di Maastricht, però, aveva affermato solen-
nemente che «l’Unione rispetta l’identità nazionale dei suoi
Stati membri» (ora art. 6 Trattato Ue) e che pertanto «con-
tribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri
nel pieno rispetto delle loro diversità nazionali e regionali»
(ora art. 167 Trattato sul funzionamento Ue). Non dovreb-
be pertanto stupire se si parla di integrazione differenziata,
ovvero di un’Europa a geometria variabile, o a cerchi con-
centrici, o ancora a due velocità: espressione, quest’ultima,
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forse più diffusa, anche se si dovrebbe più opportunamen-
te parlare di più velocità. E se ne parla da tempo, fin da-
gli anni Settanta, prima come espediente cui ricorrere per
superare i momenti di crisi della costruzione europea, poi
come di uno schema indispensabile a tenere insieme il suo
ampliamento e il suo approfondimento.
A ben vedere, però, l’integrazione differenziata non impli-
ca ciò a cui rinvia la formula, cioè la possibilità per gli Stati
membri di procedere secondo tempistiche e contenuti diversi,
pur nel rispetto di un fondamento comune, alla costruzione
dell’unità europea. O meglio implica che si possano forse im-
maginare tempistiche differenziate, ovvero tabelle di marcia
sensibili alle peculiarità nazionali, non tuttavia contenuti dif-
ferenziati. La direzione di marcia è cioè indiscutibile se attie-
ne al consolidamento dell’Unione economica e monetaria in
quanto fulcro della costruzione europea, imprescindibile pun-
to di riferimento per affrontare i suoi molteplici aspetti, inclu-
sa la dimensione sociale. Di qui l’ispirazione di fondo della
costruzione, che proprio in quanto riduce l’inclusione sociale
a inclusione nel mercato, si mostra nella sua essenza di dispo-
sitivo neoliberale: votato al presidio della concorrenza e della
libera circolazione di merci e capitali, determinato nell’elimi-
nare qualsiasi ostacolo al perseguimento dell’obiettivo.
Non è dunque un caso se l’Europa a più velocità è null’altro
che un espediente utilizzato per un assetto ben definito: quel-
lo per cui si distinguono un centro ricostruito attorno all’asse
franco-tedesco custode dell’ortodossia neoliberale, una peri-
feria intermedia composta dai Paesi dell’Eurozona nei quali
l’allineamento all’ortodossia incontra resistenze, e una perife-
ria estrema in cui confluiscono i Paesi non ancora in grado di
aderire alla moneta unica. Il tutto consolidato dall’attuale crisi
economica e finanziaria, che si è trasformata in una crisi del
debito. Con ciò ridefinendo i rapporti tra il centro e la periferia
come rapporti tra creditori e debitori, in quanto tali destinati a
rafforzare la sudditanza della seconda nei confronti del primo.
Il fine ultimo di questo assetto non è però il solo presidio di
rapporti gerarchici tra Stati nazionali, che pure caratterizzano
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la costruzione europea in quanto organizzazione sovranazio-
nale dominata dalla Germania. L’Europa a più velocità è so-
prattutto una cinghia di trasmissione dell’ortodossia neolibe-
rale dal centro alla periferia, destinata a vincere le resistenze
che pure potrebbero fondarsi sull’architettura europea: i trat-
tati lasciano la competenza in materia di politiche economiche
e di bilancio ai Paesi membri, che dunque non rinunciano nel
merito alla loro sovranità nazionale, ma semplicemente sono
tenuti a coordinare la loro azione.
Sono però numerosi gli espedienti utilizzati per scardinare
questa architettura, e dunque vincere la resistenza degli Stati,
che negli anni in cui non si era ancora intrapreso il percorso
verso la moneta unica avevano assicurato un accettabile equi-
librio tra capitalismo e democrazia. Innanzitutto si è utilizzata
la politica monetaria, di competenza del livello europeo, che
mira unicamente al controllo dell’inflazione trascurando la
piena occupazione, e che pertanto ha imposto limiti stringenti
al deficit e al debito pubblico, con ciò impedendo lo sviluppo
dell’ordine economico in forme diverse da quelle contemplate
dall’ortodossia neoliberale. Si è poi costruito un sistema di con-
trolli preventivi sulle politiche di bilancio nazionali, rafforzato
dalla possibilità di imporre correttivi per il caso in cui il sistema
non sortisca l’effetto desiderato. Infine si è dato vita, tra gli Stati
dell’Eurozona, a un mercato delle riforme per cui l’assistenza
finanziaria viene condizionata alla realizzazione di riforme in
senso neoliberale, nel tempo divenuta la principale modalità
utilizzata per procedere nella costruzione europea.
A questo schema si aggiunge ora l’Europa a più velocità,
che come si è detto costituisce un espediente per forzare i Pae-
si più lenti ad allinearsi al volere dei Paesi più veloci. Un espe-
diente sottile, perché formalmente prelude alla possibilità di
graduare l’intensità dell’integrazione, ma di fatto alimenta
l’ambizione dei Paesi deboli a tenere il ritmo dei Paesi veloci,
sul presupposto che occorre prendere parte alla corsa essen-
do disposti a fare qualsiasi cosa, in particolare non mettere in
discussione il traguardo, pur di rimanere nel gruppo di testa.
In questo modo l’Europa a più velocità produce la spoliti-
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cizzazione del mercato, contribuisce cioè a metterlo al riparo
dalla deliberazione politica in quanto vicenda capace di con-
trastare l’ispirazione neoliberale dei processi di integrazio-
ne. L’Europa a più velocità è insomma il fondamento della
postpolitica dell’Unione europea, principale riflesso della
spoliticizzazione perché attiene alla sterilizzazione del conflit-
to sociale, ovvero del principale ostacolo alla subordinazione
delle periferie al volere del centro.
Il volume ricostruisce le tappe di questo percorso, dalla
nascita della costruzione europea sino all’attuale dibattito
sul futuro dell’Europa, sorto sulla scia della Brexit e non a
caso alimentato da rinnovate riflessioni sull’Europa a più
velocità. La ricostruzione che si offre ha un taglio critico e
non evita di affrontare le questioni più spinose: come la pos-
sibilità che un recupero della dimensione nazionale, la più
adatta allo sviluppo del conflitto sociale e dunque alla ri-
politicizzazione del mercato, possa costituire un passaggio
obbligato per rilanciare la costruzione europea come motore
di democrazia e giustizia sociale.
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